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Il racconto

(tratto da "Zadig ou la destinée" di Voltaire)

Zadig ebbe dunque la prova che il primo mese del matrimonio, come sta scritto nel libro dello Zend, è la luna di miele e che il secondo mese è della luna d'assenzio. Poco tempo dopo fu costretto a ripudiare Azora, che s'era resa insopportabile, e cercò soddisfazione nello studio della natura.

– Non c'è più grande soddisfazione – diceva – di quella di un filosofo che legga il grande libro posto da Dio sotto i nostri occhi. Sono sue le verità ch'egli scopre, nutre ed eleva l'anima propria, vive tranquillo, non ha da temere gli uomini, né la sposa tenerella che gli venga a mozzare il naso.

Immerso in queste idee, si rifugiò in una casa di campagna, sulla riva dell'Eufrate. Là non si affannava a calcolare quanti pollici d'acqua al secondo passino sotto gli archi d'un ponte, né se nel mese del sorcio cade un centoquarantesimo quarto di pollice d'acqua di meno che nel mese del montone. Non si metteva in testa di ottenere della seta con le tele di ragno, né della porcellana con i cocci delle bottiglie; ma si applicò allo studio degli animali e delle piante, e non tardò a scoprire sagacemente mille e mille differenze in luogo della uniformità veduta dagli altri.

Un giorno, mentre passeggiava presso un boschetto, vide arrivare un eunuco della regina, seguito da parecchi ufficiali che sembravano molto inquieti e si sparpagliavano qua e là come uomini turbati alla ricerca di qualche perduta preziosissima cosa.

– Giovanotto – gli chiese il Primo eunuco – avete per caso veduto il cane della regina?

Zadig con garbo rispose: – E' una cagna, non un cane.

– E' vero – ammise il Primo eunuco.

– E' una cagna piccolina, di razza spagnuola – aggiunse Zadig. – Ha da poco avuto i piccoli, zoppica della gamba anteriore sinistra, e ha orecchie lunghissime.

– L'avete dunque vista? – disse il Primo eunuco tutto ansante.

– No – rispose Zadig – non l'ho vista mai, non ho mai saputo se la regina possiede una cagna.

Proprio allora, per una delle solite bizzarrie della sorte, il cavallo più bello delle scuderie reali era sfuggito alla custodia d'un palafreniere nella pianura intorno a Babilonia. Il Grande cacciatore e tutti gli altri ufficiali lo inseguivano con la stessa ansietà del Primo eunuco che cercava la cagna. Il Grande cacciatore si rivolse a Zadig domandandogli se aveva veduto passare quel cavallo del re. Zadig rispose: – E' il cavallo più bravo di tutti al galoppo, alto cinque piedi, di zoccoli molto piccoli; ha una coda lunga tre piedi e mezzo; le due borchie del suo morso sono d'oro a ventitre carati, i ferri d'argento di duecentosessantaquattro grani.

– Che direzione ha preso? Dov'è andato? – domandò il Grande cacciatore.

– Non l'ho mica visto – rispose Zadig – non ne ho mai sentito parlare.

Il Grande cacciatore e il Primo eunuco pensarono, senz'alcun dubbio, che Zadig aveva sottratto il cavallo del re e la cagna della regina; lo fecero trascinare davanti all'assemblea del Grande Desteram che lo condannò a essere frustato con lo knut e a finire i suoi giorni in Siberia. Era appena pubblicata la sentenza che cavallo e cagna furono ritrovati. I giudici dovettero rincresciosamente ma necessariamente modificare la sentenza: ma condannarono Zadig a pagare quattrocento once d'oro perché aveva dichiarato di non aver visto ciò che aveva visto. Prima di tutto fu giocoforza pagare la multa; poi fu concesso a Zadig di difendersi davanti al Consiglio del Grande Desteram. Parlò nei termini seguenti: – O stelle di giustizia, abissi di scienza, specchi di verità, che avete il peso del piombo, la durezza del ferro, la lucentezza del diamante e molta affinità con l'oro! Poiché mi è concesso di parlare al cospetto di così illustre assemblea, vi giuro per Orosmada che non ho mai visto la rispettabile cagna della regina e nemmeno il sacro cavallo del re dei re. Udite quanto è successo. Andavo a spasso verso quel boschetto dove poi incontrai il venerando Eunuco e l'illustrissimo Gran Cacciatore. Vidi sulla sabbia le impronte di un animale e capii facilmente che erano le orme di un piccolo cane. Dai solchi lunghi e leggieri rimasti impressi sui minimi rilievi della sabbia proprio tra le tracce lasciate dalle zampe compresi che si trattava d'una cagna con le mammelle penzoloni per aver essa figliato da pochi giorni. Altri segni tracciati in senso diverso ma anche sulla superficie sabbiosa, lateralmente alle orme delle zampe anteriori, mi dimostrarono che la cagna aveva molto lunghe le orecchie, e poiché osservai che una delle orme delle zampe sulla sabbia risultava più lieve delle altre, capii che la cagna della nostra augusta regina zoppicava un poco, se ciò mi è permesso dire. Per quanto riguarda il cavallo del re dei re, sappiate che nella mia passeggiata nei cammini del bosco m'accorsi delle impronte dei ferri d'un cavallo: erano tutte equidistanti. "Ecco" mi dissi "un cavallo dal galoppo perfetto". Il polline caduto dagli alberi, in una viottola larga soltanto sette piedi, a sinistra e a destra, a tre piedi e mezzo dal centro, era un pochetto sollevato. "Questo cavallo" mi dissi "ha una coda lunga tre piedi e mezzo, che nella sua altalena ora a destra ora a sinistra scopò il polline". Vidi pure, sotto gli alberi che con i loro rami formavano una galleria alta cinque piedi, delle foglie cadute da poco, e capii che il cavallo aveva sfiorato quelle alte fronde, avendo appunto una statura di cinque piedi. E perché il morso dev'essere d'oro a ventitre carati? Perché con le borchie del morso rasentò una pietra di paragone e io potei farne il saggio. Dalle tracce, poi, che i ferri del cavallo lasciarono su sassi di altra specie mi risultò che i ferri stessi erano d'argento di duecentosessantaquattro grani.

Tutti i giudici ammirarono il profondo e sottile discernimento di Zadig; la cosa fu riferita persino al re e alla regina. Nelle anticamere, nei camera regia, nel gabinetto non si parlava d'altri che di Zadig; e sebbene parecchi magi pensassero che lo si dovesse bruciare come stregone, il re diede l'ordine di restituirgli la multa di quattrocento once d'oro cui era stato condannato. Cancelliere, uscieri, procuratori andarono in gran pompa da lui per ridargli le quattrocento once d'oro; ne trattennero solamente trecentonovantotto per le spese del tribunale; e i servitori pretesero la loro mercede. Zadig s'accorse di quanto pericolo potesse essere il troppo sapere, e giurò che alla prossima occasione non avrebbe detto più nulla di quanto veduto.

L'occasione capitò presto. Un prigioniero politico fuggì e passò proprio sotto le finestre della casa di Zadig.

Zadig, interrogato, non disse verbo, ma gli dimostrarono ch'egli aveva guardato dalle finestre. Per questa colpa fu condannato alla multa di cinquecento once d'oro, e ringraziò i giudici della loro clemenza, seguendo così l'usanza di Babilonia. – Gran Dio, diss'egli fra sé - come si dev'essere compatiti quando ci succede di andare a spasso in un bosco dove siano passati la cagna della regina e il cavallo del re! E com'è pericoloso l'affacciarsi alla finestra! Com'è difficile la felicità in questa vita!

  

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