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L’abduzione

E' una forma logica che si oppone in parte alla deduzione, pur essendoci una discreta somiglianza. Nella deduzione, poste due premesse come valide – per esempio, "Tutti gli uomini sono mortali"; "Socrate è un uomo" – ne discende per forza una terza altrettanto valida, secondo il classico sillogismo – in questo caso, "Allora Socrate è mortale". Nell'abduzione, invece, la seconda premessa al ragionamento e quindi la conclusione finale non sono certe ma hanno un certo grado di probabilità o, vista dall'altra faccia, di improbabilità, almeno pari a quello della seconda premessa. [Un esempio tipico di abduzione è la storia di Archimede e la corona d'oro]

Nella scienza, il ricercatore usa molto spesso, anche se in molti casi in modo automatico o incosciente, il metodo dell'abduzione; più raramente quello della serendipità, che ne è un aspetto particolare, visto che implica di trovare una cosa che non si cercava.

Il lavoro del ricercatore si può ricondurre a quello di un detective. Non per niente il più famoso tra gli investigatori, Sherlock Holmes, era un campione di abduzione, anche se si vanta di usare la deduzione come metodo infallibile per risolvere i casi. Le sue non erano infatti, come affermava, deduzioni, non avevano cioè la caratteristica di certezza, erano solo illazioni, che alla fine rispondevano alla verità.

Osservare è fondamentale perché molto spesso, soprattutto per una serie di preconcetti e condizionamenti personali, o più semplicemente per la fretta e la distrazione, capita di non vedere ciò che è palese davanti agli occhi.

Particolari apparentemente insignificanti, dettagli trascurabili possono rappresentare il bandolo della matassa per risolvere ogni genere di problemi. Altrettanto importante è il passo successivo, che consiste nel procedimento mentale che valuta i dati raccolti e li integra in un'unica plausibile spiegazione.

Se tale atteggiamento mentale è tipico di alcune professioni, come quelle dell'investigatore, del ricercatore e del medico, è indispensabile in realtà per la pratica di molte altre discipline, come le scienze storiche e paleontologiche.

Thomas Huxley, il celebre biologo inglese della seconda metà dell'Ottocento, battezzò questo metodo di lavoro logico come profezia retrospettiva. Si tratta infatti di indagare nel rapporto tra causa ed effetto di un fenomeno, procedendo a ritroso, cercando cioè di abdurre, da ciò che si vede, ciò che può averlo determinato.

L'abduzione è fondamentale nelle scienze che studiano il passato: lo storico ricava il succedersi degli eventi dai documenti e dalle testimonianze giunte fino a noi; l'archeologo risale alle abitudini dei popoli antichi basandosi su ciò che rimane delle loro strutture architettoniche o dei loro utensili; il paleontologo ricostruisce l'aspetto di un animale preistorico da frammenti del suo scheletro e dei suoi denti, e riflettendo su questi scarsi elementi a disposizione può decidere se si tratta di un essere acquatico o terrestre, se è carnivoro o erbivoro e così via.

Huxley sosteneva che il metodo della profezia retrospettiva – noto anche in seguito come metodo di Zadig, in onore del personaggio di Voltaire – è universale perché si basa sulla costanza dell'ordine della natura ed è innato in ciascuno di noi perché ogni gesto quotidiano si fonda sulla considerazione di senso comune che un certo effetto implichi una certa causa. Ma lo scienziato inglese andò oltre, affermando che se tale metodo vale per alcune scienze, deve essere valido per tutte. Non solo quindi per la storia o la paleontologia, in cui è evidente il ruolo della cosiddetta profezia retrospettiva, ma anche per la geometria (vedi storia di Archimede) o, più curiosamente, la storia dell'arte.

Il metodo di Zadig venne infatti riconosciuto (anche se applicato in modo inconsapevole) nel lavoro dal critico Giovanni Morelli, che alla fine dell'Ottocento mise a punto una tecnica per distinguere i quadri autentici dalle copie, individuando la presenza o meno di minimi dettagli che ogni pittore inserisce inconsciamente in ciascuna delle sue opere, e che ovviamente mancano nelle copie.

Il suo lavoro venne molto apprezzato da Sigmund Freud, che, proprio nello stesso periodo, anche se in tutt'altro campo, procedeva nella stessa direzione, attribuendo grande importanza a dettagli apparentemente banali che rivestono in realtà un grande significato psicologico. Dimostrò così che un lapsus nel parlare, un gesto non calcolato o la dimenticanza di un oggetto potevano fornire indizi preziosi per comprendere la personalità e la vita interiore di un soggetto. Michael Shepherd, autore del libro "Sherlock Holmes and the case of dr. Freud", fu il primo a riconoscere il filo conduttore del metodo di Zadig nel lavoro di Morelli e Freud, paragonando entrambi a Sherlock Holmes.
L'investigatore è infatti in un certo senso la reincarnazione in chiave moderna di Zadig e non a caso il suo personaggio è stato modellato sulla figura di un medico, Joseph Bell, che esplicitamente si richiamava al metodo del personaggio voltairiano, ritenendolo "quel che ogni buon docente di medicina o chirurgia mette in pratica ogni giorno nell'insegnamento e nell'attività clinica".
Il medico scozzese affermava che "il riconoscimento preciso e intelligente e la presa in considerazione delle più piccole differenze è il vero fattore essenziale in tutte le diagnosi corrette". D'altra parte, come sottolineato più volte nel campo scientifico, anche il più acuto senso di osservazione, accompagnato dalla memoria e dall'immaginazione, richiedono per giungere allo scopo una mente preparata dal punto di vista culturale e pronta ad associare in modo coerente gli elementi disponibili. Sosteneva infatti Bell: "Ci sono una miriade di segni eloquenti e istruttivi, ma che richiedono un occhio preparato per essere individuati".

Contemporaneamente a Joseph Bell, anche sull'altra sponda dell'Atlantico il più famoso clinico statunitense, Sir William Osler, applicava il metodo di Zadig nella sua pratica e nell'insegnamento agli studenti di medicina del Johns Hopkins Hospital di Baltimora, tanto da scegliere come motto la frase: "Tutta l'arte della medicina sta nell'osservare".
Come Bell, anche Osler si rifaceva esplicitamente al metodo di Zadig. Non solo: pretendeva che la novella venisse letta all'inizio di ogni anno scolastico dai suoi studenti, quasi fosse lo scheletro su cui costruire tutta la successiva preparazione didattica. Così il medico statunitense descriveva il suo metodo di insegnamento e, di conseguenza il suo modo di vedere e di esercitare la medicina: "Insegna allo studente come osservare, dagli molti fatti da osservare e la lezione uscirà da sola dai fatti stessi". Il sistema doveva funzionare perché, unito al personale carisma del personaggio, rese le sue lezioni uniche e memorabili per tutti gli studenti che vi presero parte e che cercarono poi di emularlo. Trasferendo le lezioni dalle aule alle corsie dell'ospedale ripeteva: "Osservate, memorizzate, collocate al giusto posto, comunicate. Usate i vostri cinque sensi... Imparate a vedere, imparate a udire, imparate a toccare, imparate a odorare e sappiate che solo con la pratica potrete diventare esperti. La medicina si impara al letto del malato e non in un'aula. Non lasciate che le vostre concezioni delle malattie vengano da parole udite in classe o lette sul libro. Guardate, e poi ragionate e mettete a confronto e controllate. Ma per prima cosa guardate".

  

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